Io non so ben ridir com' io ventrai, La diritta via, dove era l'uomo prima che la abbandonasse col peccato, è quella che mena dritto al colle vestito dei raggi divini di giustizia: il qual colle è il Calvario, come vedremo e questa via diritta è da Gerusalemme, e più precisamente dal Monte Oliveto al Calvario, da est ad ovest, vedi la topografia a settentrione; ma dice il poeta che abbandonò questa via, cioè deviò dalla parte di sud, per andare non al Calvario, ma per tornare alla schiavitù del demonio in Egitto ed alle tende d'Etiopia. Ora dunque si trova Dante al mezzodì della nostra topografia. Ma per trattar del ben ch'i' vi trovai Il bene, che trovò qua, s' intende la sua conversione dell' anima col dolor dei peccati, il quale cominciò ivi dal motivo naturale della bruttezza del vizio, e dagli altri motivi puramente naturali, non buoni alla giustificazione, ma che dispongono l'uomo a pentirsi davvero, e lo spingono a volere comechessia riconciliarsi con Dio per avere la pace perduta del cuore. (1) Cioè dal Monte Oliveto al Calvario. Ma po' ch' io fui appiè d'un colle giunto, Che m'avea di paura il cor compunto ec. Accenna qua che dalla selva è passato alla valle, che di paura gli aveva compunto il cuore. Egli è passato alla compunzione del cuore coi motivi del dolore soprannaturale, cioè della attrizione. Questa valle si trova contigua alla selva del mezzodì sulla nostra topografia, passando da sud ad est, ed è la famosa valle di Giosafat, la valle dell'estremo giudizio dei peccatori e questa valle è per tutta la sua lunghezza da sud a nord irrigata dal torrente di Cedron, il quale è la fiumana onde il mar non ha vanto della valle dantesca, e va a terminare a nord tra le mura di Gerusalemme ed il monte Oliveto: e da questo per alla volta del monte Calvario ad un terzo di strada comincia la piaggia deserta, la quale è la via diritta e più corta che mena al monte della salute, al Calvario. Alla prima lettura testuale si crede che ivi debba essere tosto il Calvario, a' cui piedi dice il poeta esser giunto terminata la valle; ma si spiega egli meglio appresso, e dà luogo a doversi intendere il Calvario ivi essere, e dovervi essere a qualche distanza; perocchè dopo aver detto Ma po' ch' io fui appiè d'un colle giunto, soggiunge da gran maestro paesista: Guardai in alto, e vidi le sue spalle Che mena dritto altrui per ogni calle. Se fosse appiè del colle a rigore di termine, non avrebbe il poeta potuto vedere le spalle del colle così illuminate dal Sole nascente. Queste a vederle esigono una distanza. E poi vedremo che dal colle al poeta era una piaggia deserta in mezzo; non era dunque appiè del colle a rigore di termine, ma la frase è da intenderla con discrezione. La posizione di Dante volto a occidente col Sole oriente alle spalle notai già nell'altra mia lettera. Allor fu la paura un poco queta, Che nel lago del cor m'era durata Nella valle di Giosafat, colla meditazione del finale giudizio, e degli eterni suplici infernali, la paura, il timore puramente servile, dai motivi naturali del dolor dei peccati è passato ai motivi sopranaturali, con un principio di carità, la quale foras mittit timorem, se sia perfetta; ma qua non era che solo incipiente, dispositiva ed introduttiva alla carità formata è perfetta, la quale per sè giustifica e caccia il timore. Ecco perchè dice il poeta, che la paura della notte passata nella selva del peccato, allor che dalla selva passò alla valle di Giosafat, fu un poco queta, giunto che fu alla veduta del Golgota, stando però tuttavia nella valle del finale giudizio. Egli vide il colle Calvario, che gli appariva vestito nella cima dai raggi del Sole, allora allora nascente, che è quel pianeta che mena dritto altrui per ogni calle. La grazia divina cominciava ad illuminare nel cuore del peccatore poeta. Abbiamo dunque finora la compunzione del cuore, cioè l'attrizione interiore, che per sè non giustifica senza la confessione sacramentale. E come quei che con lena affannata, Ha bel riscontro questa scena dantesca della paura, della selva, e della fuga affannosa di Dante, ed in Dante del peccatore, e del suo sentirsi ricadere verso la selva del peccato per la sua sola apprensione troppo paurosa; ha bel riscontro, dico, nel capo 26 del Levitico al verso 36: Et qui de vobis remanserint, dabo pavorem in cordibus eorum in regionibus hostium. Terrebit eos sonitus folii volantis, et ita fugient quasi gladium: cadent nullo persequente, et corruent. Lo passo, Che non lasciò giammai persona viva, nel senso subiettivo qua di tutto il contesto è la selva, che il poeta lasciò, e ne uscì fuora passando dalla selva dell'Egitto ila vaile i Giosatar. Questa selva non lascio mai persona viva. La sera meila ehe lascia, e la persona è la cosa lasciata, non converso. La selva iei peccato non lascio mai nessuna anima viva, ei e per mesto letto mortaie I peecato perchè da morte ail'mima. Eu e vero che almeno il peccato originale non lascio nai anima viva di fuori della Madonna S. concepita senza peccatoE forse voile anche fire, che rari sono gli uomini. i quali conservano la innocenza battesimale, e per eiò questa lor via innocente ai Calvario è chiamata la piaggia deserta, come appresso firemo Dante passando dalla seira alla vaile fi Ciosafat rimase dunque libero dal peccato mortale? E colla sola attrizione interiors, el diciors imperfetto teologico, senza la confessione sacrumentale, rimase dunque giustificato? Rispondo. Non rimase giustificato, ma per un dettame della propria coscienza si eredette essere giustificato, riserbandosi a sottoporre alle chiavi il peccato come è di dovere; ma questa fu una sua propria illusione, e confesserà questa sua strada sbagliata e falsa, e confesserà di non aver fatto in ciò bene il proprio dovere di un penitente par suo. Poi ch'ebbi riposato il corpo lasso, Ripresi via per la piaggia deserta Si che'l pie fermo sempre era il più basso. Dalla valle di Giosafat, anzi da dove questa valle terminava, cioè dal monte Oliveto, ed anche un poco più là verso il colle Calvario ad occidente; da |