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dalla più sana critica e dalla irrefragabile autorità degli antichi testi in penna; e la falsa interpretazione comune a tutti gli interpreti sarà provata in quei luoghi del poema, che sieno da doversi necessariamente spiegare in un altro modo non istentato ma ovvio e palmare, secondo che sarà da me dimo

strato.

Egli è già un pezzo che io vidi e che predico ai letterati una tal verità, da quel saggio che ne ho pubblicato fino ad ora. Si mise di proposito a studiar tutto il poema per illustrarlo tutto nella sua verità il mio amico D. Luigi Benassuti arciprete di Cerca nella diocesi veronese, e ci riuscì a meraviglia bene; e se io nel poema vedeva 50 luoghi male intesi da tutti gli interpreti, egli ne trovò un cento e cinquanta a dir poco. Il congegno poi macchinale di tutto il viaggio lo può dare in quel modello medesimo che Dante dovette fare a sè stesso per non isbagliare nè il tempo, nè il luogo, nè il movimento intorno all' Inferno, al Purgatorio, ed al Paradiso. E confesso qua innanzi tratto, che queste vere osservazioni, più che mie, sono dell'amico dal cui scritto le attinsi per la maggior parte. E volentieri do al pubblico questo saggio di una edizione perfetta della Divina Commedia, la quale vorrei che in Verona potessimo pubblicare da poter darla alle scuole per bene intendere Dante nel suo vero senso poetico, cattolico, e profondamente scientifico. E vorrei che in Verona potessimo pubblicare i tre più grandi maestri della letteratura nel primo secolo, e nel cominciar del secondo della lingua; le poesie di fra Iacopone da Todi, il Tesoro maggiore di ser Brunetto Latini, e la Divina Com

media di Dante. Ma se gli altri due rimanessero nei miei manoscritti, pazienza; quello che alla studiosa gioventù credo meglio importare è il testo corretto e bene illustrato della Divina Commedia. Ma a' nostri tempi si possono compilar delle opere letterarie di merito insigne per sè medesime; pubblicarle poi colle stampe non si può molte volte, poichè l'andazzo a' dì nostri non è del merito letterario in sè stesso, ma del merito e della celebrità letteraria in servigio di chi se ne vale a' suoi politici intenti; onde gli intendimenti politici si fanno servire dai letterati, ed i letterati si fanno servire dagli intendimenti politici: onde nasce la voga dalle scritture letterarie, e la loro celebrità, non per altro duratura: conciossiachè molte volte gli intendimenti politici sono contro la verità, e lo scrittore di vero merito non adula, ma serve alla verità e conseguentemente al diritto ed alla giustizia; ed alla adulazione dei perversi intendimenti politici serve la turba dei semidotti, che amano l'interesse proprio e la propria celebrità pur fittizia, e non duratura, più che il merito vero ed intrinseco, che forse sanno anch'essi in coscienza di non avere pari alla loro celebrità.

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È ben vero che la fortuna del governo politico, cioè la sua floridezza, ed il suo decoro, dipende dal favorire l'uomo di lettere, e la fortuna del letterato dipende dal favore che egli abbia dal governo politico; l'uno onora l'altro reciprocamente; ma è necessaria la base del vero merito, la verità. Ottaviano Augusto è glorioso di una fama immortale pel merito dei letterati da lui favoriti, ed i letterati da lui favoriti han potuto il lor merito aver duraturo

e perenne pel favore che ebbero alla corte d'Augusto. Se non che l'uomo di lettere che abbia il merito insigne, anche non favorito dai mecenati, potrà ottenere la fama immortale, ed il mecenate anche ne verrà a perderla e ad infamarsi trattando male il cliente suo letterato. Il re Teodorico ebbe florido e glorioso il suo reggimento finchè egli, così illetterato qual era, e ostrogoto, favorì il letterato Boezio, e giovossi dei suoi consigli nel suo savio governo politico; ma quando gli intendimenti politici ebbe perversi, il letterato Boezio non lo adulò pervertendosi anch'egli ne'suoi consigli; il tiranno perseguitò e mise a morte Boezio: ma chi perdette de' due l'onore e la fama? Non Boezio, si Teodorico, che de' suoi trentatrè anni di regno ebbe onorati e gloriosi i primi 26 con Boezio suo favorito; ma ebbe gli ultimi sette obbrobriosi, sciagurati ed infami, senza Boezio da lui cacciato in prigione; in cui luogo al consiglio reale fu surrogato l'adulatore semidotto e pedante che fece avere i dolorosi anni ed al regno d'Italia ed al re Teodorico per farne il proprio interesse.

Perdonatemi, amico, la digressione che serve all'uopo dantesco meglio che forse non pare. Dante non fu adulatore delle corti, fu sincero più che obbligante, ed era consigliero ai principi del vero bene italiano. Or che fece la turba dei semidotti e dei pedanti dantofili? Fece comparire Dante un loro pari, un vile cortigiano, un adulatore sguaiato. Al suo vero concetto cattolico fu sostituita la irreligione e l'empietà. Al suo vagheggiato interesse morale cattolico fu sostituito un gretto municipalismo. Considerava Dante l'Italia come la sede che doveva essere della

monarchia universale, che male fu trasportata coll'aquila romana contro al corso del Sole in Bisanzio dall'occidente in oriente. Il sacro romano impero occidentale vagheggiò Dante come auspice della floridezza sociale sotto gli auspicii di Roma pontificale che lo fondò, e l'interesse del poema divino è prima l'interesse cattolico spirituale, e poi l'interesse temporale; questo conseguenza di quello: Quaerite primum regnum Dei, et haec omnia adiicientur vobis. Ma i nostri interpreti libertini fanno di Dante un ipócrita, che della religione si valga al guadagno del regno temporale e terreno; ed al governo italiano si fa consigliare dal divino poeta il vero Principe del Machiavelli. Povero Dante! se potesse esser vivo e parlare, uscirebbe contro questi vigliacchi pedanti con una invettiva, che fosse simile a quella

Ahi serva Italia ecc. ecc.

Tutto vostro
BART. SORIO P. D. O.

Luogo di partenza,
e direzione del viaggio infernale.

LETTERA II.

Carissimo professore,

Verona a dì 23 agosto 1863.

Ripiglio il filo del mio discorso, lasciato colla mia lettera proemiale delle altre dantesche seguenti. V'ho detto che la Divina Commedia non è ancor bene intesa in parecchi luoghi della maggiore importanza, e che in parecchi luoghi è mal letta da doverne frantendere, o non intenderne, il senso anche il più dottrinato ed il più perspicace ingegno.

Ed intanto dei luoghi non bene intesi ne sono parecchi, e non credo che sia presunzione il prometterne innanzi tratto la pruova con ragioni belle e chiare come due e due fan quattro conciossiachè per darne con questa lettera un saggio, facciamoci dal principio infernale. La prima cosa da determire e fissare rispetto al viaggio di Dante doveva certo essere il suo vero punto della partenza e la vera direzione del suo cammino infernale per alla volta dell'altro emisfero; nozione principale di tutta la cosmografia dantesca. Or quanto al punto vero della partenza i moderni interpreti, peggio forse che i vecchi, donde fanno partire il poeta per questo suo viaggio infernale ? Comunemente dall' Italia; e

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